Eppure la memoria sembra costantemente sotto assedio.
Provo qui di seguito ad analizzare il rapporto tra memoria e società, memoria e scuola, memoria e social media.
1. La memoria è
altruista e presuntuosa.
La memoria è un insieme di ricordi. Può essere vissuta
interiormente o condivisa. Si parla di memoria collettiva quando si sommano i
ricordi e le testimonianze di chi ha partecipato a un evento, vissuto la stessa
epoca o anche solo un intervallo di
tempo comunemente reputato significativo.
La memoria umana è labile, frammentaria, soggetta a
deterioramento e deformazioni. Allo scopo di preservarla, l’uomo si è servito da
sempre di opere scritte, di opere materiali, di opere d’arte e monumenti in
senso lato. L’esigenza di lasciare ai posteri tali segni è sempre nata dalla
voglia di preservare il ricordo di un evento che si giudicava importante o
capace di dare insegnamento a quelli che sarebbero venuti dopo.
La memoria, infatti, è altruista (dà insegnamenti) e
presuntuosa (ritiene di poterlo fare). La memoria non è la storia, non nasce
dalla selezione e dalla interrogazione delle fonti, dal confronto e dalla
critica, è filtrata dalle emozioni, dalle ideologie, dalla cultura personale.
La memoria può essere onesta e contemporaneamente poco attendibile. Non è un
processo completamente razionale.
In passato, si attribuiva ad essa un’ importanza ben maggiore
di quanto non accada ai giorni nostri. Di generazione in generazione, si trasmettevano
valori, storie, miti, favole, nozioni, pratiche, saperi, per dirla in una
parola, cultura. Col tempo, però, il bisogno di innovazione e l’accelerazione
prodotta dal progresso tecnologico-scientifico ha determinato un atteggiamento
di maggiore indipendenza dai codici del passato e se, in molti casi, ciò ha
significato il superamento di pregiudizi e il raggiungimento di maturità
intellettuale (si pensi alla battaglia illuminista contro il principio di
autorità), purtroppo, altrettanto di frequente, questo atteggiamento ha
significato disinteresse tuout-court
per il passato e disprezzo per il bagaglio memoriale ed esperienziale delle
generazioni precedenti. Caso limite e incendiario è stato rappresentato dai futuristi il cui programma dichiarava senza giri di parole: " Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, accademie di ogni specie". Anche adesso da più parti si rileva come, per esempio, le nuove
generazioni siano così proiettate verso il futuro da dimenticare o svalutare il
passato, che resta spesso uno sconosciuto sopratutto quando è assai recente.
2. I luoghi della
memoria: spunti didattici e problemi.
Avendo preso atto che è in pericolo la nostra stessa
capacità di ricordare, sono nate oggi diverse iniziative che hanno come fine
quello di preservare la memoria. Persino nel palinsesto televisivo, arricchito
dai nuovi canali digitali, si nota una presenza discreta, ma costante, di
canali dedicati alla memoria: archivi televisivi da cui riemergono
trasmissioni, sceneggiati, caroselli, testimonianze di epoche non troppo
lontane e perciò meno conosciute da un quindicenne di quanto non lo siano (FORSE)
l’impero romano o l’età comunale.
Fra le numerose iniziative, oggi presenti in Europa, spicca
l’allestimento dei luoghi della memoria, l’organizzazione della Giornata della
Memoria per le vittime della Shoah, cui si stanno affiancando molte altre
giornate commemorative di altre vittime e di altre tragedie. Si cercano i
testimoni e si organizzano spazi e momenti per favorire il racconto e la
condivisione col pubblico dell’esperienza da preservare. Tali iniziative non si
ineriscono solo in contesti didattici, il loro valore educativo si esplica nei
confronti di tutta la comunità, al punto che, negli anni, si è sviluppato un
vero e proprio “turismo memoriale”, vissuto, tuttavia, piuttosto
superficialmente.
I luoghi della memoria non sono sempre luoghi veri e propri,
in senso materiale, spesso sono delle ricorrenze (la Giornata della Memoria) o opere letterarie in cui si condensa la
memoria di un popolo. Essi servono a incrociare memorie spesso antagoniste (si
pensi ai luoghi che sono stato teatro della Seconda Guerra mondiale) e
conflittuali: per esempio, la memoria della comunità locale in contrapposizione
alla memoria ufficiale. Tali luoghi raccolgono testimonianze di vario tipo il
cui scopo primario non consiste nel rivolgersi agli storici di professione per
una ricostruzione storiografica rigorosa, quanto nel supportare la memoria
dell’uomo comune, attraverso un coinvolgimento emotivo con puntelli di vario
tipo - filmati, musica, raccolta di immagini o oggetti, sapori- che gli facciano ri-vivere l’ esperienza o
l’evento da non dimenticare.
La stessa scuola può
trasformarsi in un luogo della memoria. Come? Aprendo gli archivi.
Recuperando i testimoni, cercandoli tra gli ex alunni, gli ex- docenti. Creando
eventi.
Molte scuole portano
in sé i segni degli avvenimenti più significativi del Novecento (dalle adunate
fasciste ai bombardamenti, dalle contestazioni studentesche alle stragi
mafiose) e possono diventare veri e propri musei aperti alla cittadinanza e al
territorio.
La finalità di tali
iniziative è prima di tutto l’educazione del cittadino. Accanto alla
dimensione educativa, però, si può collocare anche la dimensione didattica, a
patto però che una tale attività sia progettata con scrupolosa attenzione, non
solo all’aspetto comunicativo, ma anche, e prima di tutto, all’aspetto
storiografico. Perciò, un luogo deve essere sottoposto a critica, proprio come
si fa con qualunque altra fonte storiografica. La presenza di testimoni è al
contempo una grande ricchezza e una grande sfida. I racconti possono, infatti,
essere conflittuali e contraddittori, tenderanno a singolarizzare la storia,
laddove lo storico cerca la generalizzazione. Gli eventi narrati saranno
influenzati dal punto di vista e dal significato stesso che si attribuisce alla
rievocazione, aspetto, questo, che non deve spaventarci, ma che può diventare
di estrema utilità se si voglia riflettere sull’uso pubblico della storia ai
giorni nostri, stimolando riflessioni significative negli studenti più grandi[1].
3. La memoria ai tempi
di Facebook.
Voglio analizzare adesso il rapporto che intercorre tra Social
Network e memoria. E, di rimando, tra Social e nuove generazioni.
Immediatamente emerge un atteggiamento contradditorio,
dissociato: da un lato, il progresso corre veloce e ci smemora - felici;
dall’altro ci si sprona, con fare piuttosto impositivo, a ricordare. A
moltiplicare le occasioni di rievocazione ingenua (feste a tema sugli anni
Settanta Ottanta Novanta), rubriche strappalacrime (essere stati bambini negli
anni Settanta, Ottanta, Novanta; giochi anni Settanta Ottanta Novanta;
quadernini del passato e così via) e i facili festival della nostalgia.
Se ci spostiamo nell’ambito personale, ci accorgiamo che
l’incongruenza persiste.
Lo slancio verso il nuovo ci spinge ad abbracciare, più o meno
con criterio, i ritrovati della tecnologia e ad apprezzare i traguardi che,
grazie ad essa, riusciamo a raggiungere. Non cambieremmo la macchina
fotocopiatrice con la carta copiativa o un PC di oggi con uno di dieci anni fa
e siamo profondamente immersi nel flusso dei consumi, per cui sappiamo che fra
pochi anni (mesi?? giorni??) avremo un nuovo televisore, un nuovo telefonino,
un nuovo computer e così via.
Che le cose passino non ci disturba molto. Se però ci
rendiamo conto che la stessa sorte potrebbe colpire anche noi, allora tremiamo.
Ed eccoci intenti a lasciare un segno, a cercare non solo di essere notati dai
contemporanei, ma anche di essere ricordati dai posteri. Abbiamo voglia di
conservare la memoria di noi stessi e del nostro piccolo mondo, della comunità
a cui apparteniamo, degli eventi che abbiamo vissuto, delle mode che abbiamo
assecondato, di ciò che ci è appartenuto.
Fioriscono su Internet le pagine personali. Blog. Profili.
Archivi fotografici. Tutto più o meno in chiave social, ossia con possibilità
di scambio e condivisione. Sembrerebbe, quindi, che la memoria abbia trovato
nuovi spazi, il nostro personale monumento.
Un indizio: la dimensione narrativa, che ha di necessità uno
sviluppo verticale e non orizzontale, si è progressivamente imposta su quella
della simultaneità. Si spiega così il passaggio compiuto da Facebook da poco
più di un paio d’anni nella sua organizzazione complessiva. Le bacheche (luogo di stratificazione
caotica su cui la simultaneità predomina rispetto alla cronologia) si sono
trasformate in diari in cui, come in
un blog, è possibile con facilità recuperare post e fotografie del passato,
testimonianze cronologicamente collocate che disegnano la nostra storia
personale; i post hanno perciò preso nome di eventi (caricandosi di importanza e caricandoci di responsabilità),
alcuni dei quali possono essere messi in rilievo con apposita funzione; le
informazioni personali, se completate, ci allineano un curriculum che, volendo,
potremmo mettere sotto gli occhi di tutti.
Non è finita qui. Per festeggiare il suoi primi 10 anni
Facebook ha voluto celebrare se stesso titillando proprio questo narcisismo memoriale comune tra i suoi utenti, regalando loro un video che,
nella durata di un minuto e sotto le note struggenti di un pianoforte mèlo, lasciava
scorrere la storia condensata di ciascuno, affastellando fotografie - alcune
vecchissime, altre recenti - eventi, commenti, in una sorta di Bignami o di
museo di sé. Il criterio di selezione è stato quello che ha più senso in un Social:
il numero. Il numero delle interazioni. Il numero dei mi piace. Il numero
(forse) delle visualizzazioni personali.
In questa sua nuova veste, la memoria diventa una mera somma
e la selezione delle fonti più significativr, che è operazione fondamentale per
uno storico, solo un fatto di numeri. Tra gli “eventi” importanti della nostra
vita-social troviamo matrimoni, nascite, compleanni accanto a momenti apparentemente
sottratti all’oblio da considerazioni demenziali che (naturalmente) abbiamo
dimenticato ma che, a suo tempo, avevano mosso moltissime iterazioni, indipendentemente
dalla loro pregnanza concettuale, anzi, molto spesso altrettanto ottuse (ah ah
ah, iiiih, lol, cxxxxo! Bello! J L
:O e tutto il corredo di cuori e picche). Video del genere si sono ripetuti a
migliaia. E ci hanno illuso. La nostra memoria individuale (parziale,
deformata, idealizzata e contraddittoria) si è persa all’interno di un oceano
di altrettanto parziali memorie, scomparendo e azzerandosi.
Insomma, anche se Google+, il Social firmato Google,
spingendoci a compilare un profilo di presentazione, ci chiede di raccontare le
nostre GESTA (?) , al più saremo (e siamo!) parte di una serie. Non lasceremo,
nella quasi totalità dei casi, un monumentum
aere perennius, ma informazioni che, se mai dovessero durare, non sarà
possibile distinguere, recuperare, discriminare.
Perciò, se è vero che la Rete sembra moltiplicare gli archivi e le
memorie, di fatto, la memoria (evito la maiuscola, ma vorrei che se ne
conservasse il peso senza la retorica) si sta svuotando del suo senso più
profondo, ossia lasciare un segno che possa essere ritrovato. Se, infatti, il
mio segno è un punto fra milioni di migliaia di punti, la statistica mi dice
che quel segno è come se non ci fosse affatto.
In una tale moltiplicazione di dati, eccovi delle domande (che bello sarebbe leggere una pioggia di risposte!)
- Qual è la memoria che sarà necessario conservare?
- E quali sono i mezzi davvero efficaci?
- E perché ancora oggi consideriamo importante questa sfida?
- Che ruolo occupa la scuola in tutto questo e come si concilia la dimensione 2.0, tutta lanciata verso il futuro, con la tradizione e la conservazione?
- E se è vero che si può fare storia senza la memoria, possiamo fare a meno della memoria?
Cerchiamo memorie e testimonianze di mestieri, giochi, abitudini perdute |
[1] M.Gigli M.L. Marescalchi, Il laboratorio nei luoghi e con i testimoni
in Didattica della Storia a cura di P. Bernardi, 2006, pp. 197-199; G. De Luna,
La passione e la ragione. Il mestiere
dello storico contemporaneo, 2004
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