"Un libro che ha interessato ed
emozionato un giovane lettore non è mai solamente qualcosa che ha imparato, ma
si trasforma in un patrimonio identitario perché diviene suo, e grazie alla
capacità di criticarlo e ri-raccontarlo egli, insieme alla storia, presenta se
stesso perché chi conosce e apprezza un testo lo usa come espediente comparativo
e associativo di comprensione e di giudizio."
Ho trascritto questa frase qualche anno fa in un taccuino, scioccamente,
senza annotarne il riferimento
bibliografico preciso, tutta presa com'ero dall'entusiasmo di condividerlo, di
farlo mio.
Lo ritrovo oggi e subito incomincio a pensare
ai miei alunni. Mi domando se, in questi anni, io, lettrice
compulsiva e prof. logorroica di Italiano, sia riuscita a creare un incontro speciale tra
qualcuno dei miei studenti e un libro, fra quelli suggeriti, citati per caso, prestati, perduti, dedicati, lodati, esecrati, letti in
classe collettivamente o a casa in solitario. Non so dirlo, ma so che molti di
loro sono diventati lettori e perciò, suppongo, che a un certo punto, terminata una lettura, ci sia stato il momento in cui si siano detti: "Ne voglio ancora!"
Dal canto mio, non ho mai imposto una lettura, un romanzo, un poeta,
riduzioni per ragazzi o opere edificanti - nemmeno quando i genitori me lo
chiedevano esplicitamente. Non ho mai assegnato riassunti, recensioni
obbligatorie, esercizi.
l'infinito disordine della lettura compulsiva |
Andando indietro nel tempo, nel corso della mia esperienza in Secondaria di Secondo Grado, non ho
mai perso un incontro con l'autore, un progetto lettura - prima di tutto come lettrice, poi come
docente. Lettrice fra lettori, ho discusso con i miei alunni che, talvolta,
apprezzavano autori che io non gradivo e viceversa.
Progetto Lettura "Spesso chi Legge", Liceo Tarantino, Gravina in Puglia, incontro con Andrea Molesini 17/03/2012. |
Ho messo davanti ai loro occhi la mia esperienza di lettrice e le mie
emozioni. Prima di tutto per condividerle, poi per aiutare quanti avrebbero
voluto farle proprie. Qualche volta è andata bene. Qualche altra benissimo.
Come nasce un lettore
Si parte da una storia, che in genere racconto in classe. Il romanzo del cuore,
il primo. Agli alunni formulo una richiesta precisa (e
qui la giro a voi docenti!)
Vorrei invitarvi, se ne avrete tempo e voglia, a raccontare
quale sia stato un libro che nella vostra infanzia o adolescenza abbia rappresentato
un punto di riferimento per voi e per il vostro immaginario. Bastano anche poche parole. Io lo faccio qui di seguito. Mettere in comune esperienze crea vicinanza. La narrazione è, poi, già in sé un piccolo passo verso il libro.
L'esempio, tra i tanti, che potrei citare è Alice nel paese delle meraviglie che ho conosciuto, dapprima, nella dimensione dineyana di cartone animato un po' edulcorato e, poi, nell'originale di Lewis Carroll.
L'esempio, tra i tanti, che potrei citare è Alice nel paese delle meraviglie che ho conosciuto, dapprima, nella dimensione dineyana di cartone animato un po' edulcorato e, poi, nell'originale di Lewis Carroll.
La passione mai discussa
nei confronti di questo classico si esprimeva, non solo nella continua ricerca
di nuove edizioni, ma anche nei giochi di simulazione, nelle prove di
riscrittura, nelle continue drammatizzazioni che mettevo in atto con le amiche,
i cugini o anche da sola.
L'aspetto che più mi affascinava
era quello delle metamorfosi, lidea che bastasse mangiare o bere qualcosa per
cambiare aspetto o dimensione. Mi piaceva il senso di mistero che aleggiava
intorno agli oggetti e mi piaceva l'aria furbesca delle etichette che esibivano
i loro mangiami! o bevimi!: mi sembravano al contempo pericolosi e suadenti
inviti alla trasgressione. Attribuivo a quelle boccette l'odore di canfora che
sentivo attorno ai vecchi cosmetici di mia nonna, mescolati ai flaconi di
medicine mezzo vuotate e tutte a me interdette, che talora maneggiavo di
nascosto.
Ancora più affascinante era
l'idea del labirinto. Amavo fissare per ore una illustrazione in cui la bionda
Alice restava perplessa e vagamente spaventata di fronte a un bosco rigoglioso,
illuminato dalla luce della luna, il cui spicchio, così ben disegnato, era in
realtà il sorriso di un gatto beffardo. Sul tronco degli alberi che si perdevano
nella notturna prospettiva, si moltiplicavano cartelli di ogni dimensione e
colore, con indicazioni confuse: Di qui, Di là, Laggiù, Da quella parte
e così via. Mi emozionava il mistero che
la parola scritta sapeva evocare, soprattutto perché al contempo vaga e
perentoria. Provavo a fingere nella mente ciascuna di quelle direzioni, a
immaginare che la protagonista scegliesse sentieri diversi da quelli imposti
dalla storia e quindi facesse nuovi incontri e vivesse nuove avventure. Così
non solo potevo sostituirmi a lei, ma anche e soprattutto al suo creatore.
Dilatavo la storia oltre i suoi confini, in modo che non finisse mai
(suggestione che mi fece poi impazzire con La storia infinita di M.Ende)
Il romanzo di Carroll è stato un potente strumento cognitivo per
me: ha stimolato la fantasia, le capacità narrative, la capacità di passare
rapidamente dal linguaggio letterario a quello iconico a quello fotografico, ha
arricchito il mio lessico.
Tuttora provo un certo
stordimento davanti alla parola MENSOLA, incontrata per la prima volta nel
romanzo e in una illustrazione in cui Alice, cadendo dolcemente nel vuoto nella
tana del coniglio, si sporgeva ad osservare le mensole su cui ordinatamente
erano stipati degli oggetti, tra cui un barattolo di marmellata d'arance. Così,
con altrettanto stupore, io cercavo mensole dappertutto: a casa mia ve ne erano
alcune nel bagno e mi piacevano molto perché erano di vetro verde. Ne
trovavo qualcuna a casa di mia nonna, di legno e piene di immaginette di
santi e madonne; bianche laccate, nella cameretta di una mia compagna di scuola.
Le mensole assumevano ai miei occhi un valore fantastico, quasi fossero un
ritaglio di meraviglioso nella mia realtà quotidiana, e forse, mi aspettavo
anch'io di trovarvi un vasetto di marmellata d'arance pronto a trasformarmi in qualcosa di diverso. Stessa
fascinazione da parte di altre parole: SONAGLIO, MERIGGIO, SCACCHIERA, MELASSA, BURRO. Ciascuna
di esse, si caricava di molti più significati di quelli riportati dal
dizionario. Mi apriva la mente, mi
metteva in moto pensieri e fantasie.
Ho apprezzato le filastrocche e i
giochi di parole, presenti nel testo, solo crescendo. Per capire i non- sense ho dovuto diventare adulta.
Essi solleticavano curiosità e bisogni nuovi: giocare con la lingua, con la
logica, con le parole della tradizione mandate a memoria. Nelle edizioni
tradotte di cui ero in possesso si giocava con alcune poesie di Pascoli e
Carducci, scelte fra quelle più fastidiose nella loro musicalità da
filastrocche. Dalla lettura in lingua originale ho ricavato, invece, la parodia a
poesie che purtroppo non conoscevo e che mi era difficile apprezzare.
Un articolo apparso qualche anno
fa sul Venerdì di Repubblica, contemporaneamente all'uscita del film di
Tim Burton, diceva che Alice e il suo mondo bizzarro suscitano da sempre una
antipatia innata nei bambini, che in genere non amano questo classico, perché
la protagonista rappresenterebbe il principio regolatore e ordinatore che si
muove attraverso la follia senza mai perdere l'equilibrio, senza mai lasciarsi
sedurre. Allo stesso modo gli altri personaggi susciterebbero diffidenza
perché, con i loro giochi verbali e la loro logica capovolta, rappresentano il costante pericolo di impazzire, di perdersi nei meandri
dell'irrazionale. L'articolo metteva, inoltre, in evidenza una continua e
gratuita crudeltà serpeggiante pressoché in tutti gli episodi, ma non me ne
accorgevo, in verità, abituata, come ero, al sadismo di ben altre storie che i
cartoni animati e le fiabe classiche ci propinavano.
Ho trovato, tuttavia, interessante l'analisi dell'articolista e mi sono accorta che esiste una certa corrispondenza fra quello
che Alice rappresenta e il contenuto di alcuni sogni ricorrenti che facevo
soprattutto negli anni dal passaggio dall' adolescenza all'età adulta. In
particolare, il labirinto, l'esplorazione di mondi tortuosi e senza via duscita, con atteggiamento di curiosità e di angoscia. Proprio come Alice, poiché alla
fine il suo mondo di fantasia, all'apice del pericolo, si rivela essere solo un
brutto sogno.
Resta, tuttavia, il fascino
profondo che l'opera continua a suscitare in quanto immagine precisa della mia
infanzia.
E adesso tocca a voi!
Nessun commento:
Posta un commento